Archivio storico comunale Ravenna, Fondo di carte topografiche, Mappa 68, 1844, particolare

Carteggio amministrativo, Titolo IX, Rubrica 7 del 1851, Protocollo generale n. 4128

Il 22 dicembre 1851 Francesco Capozzi invia al conte Alessandro Cappi, già vicebibliotecario della Classense e che ne sarebbe divenuto direttore nel 1856, una missiva contenente una copia della tragedia Teodorico e una lettera di accompagnamento indirizzata ai nobili signori, agli Anziani e al Gonfaloniere della città di Ravenna. Capozzi prega Alessandro Cappi di far giungere la lettera e la tragedia ai suoi destinatari assieme a parole di presentazione che li dispongano positivamente nei confronti dell’opera. Il motivo di tale dono è, specifica il poeta, che “pel soggetto e per la scena” la tragedia appartiene a questa città più che a chiunque altro. Come scrive Capozzi nella lettera indirizzata ai funzionari l’argomento della tragedia è “patrio non men che italiano”: si tratta delle gesta e della rovina di Odoacre e Teodorico, che hanno vissuto nella città di Ravenna e che in questa città riposano, il secondo nel monumento che tanti connazionali e stranieri vengono ad ammirare.
Capozzi anticipa a Cappi il desiderio di veder la tragedia rappresentata “con veste musicale” nella giornata di apertura del nuovo teatro di Ravenna, messa in scena che sarà possibile se qualcuno si assumerà il compito di produrre il grandioso spettacolo. Egli specifica che, se il Municipio vorrà impiegare del denaro in più, certamente ne riceverà indietro una somma maggiore grazie ai forestieri che verranno a teatro per vedere ed ascoltare la tragedia composta appositamente per l’occasione.
Il Gonfaloniere però risponderà solo il 4 febbraio 1952, dimostrando tutto il gradimento e la gratitudine per la tragedia ma disilludendo le speranze del poeta. Egli spende molte parole di riconoscenza nei confronti del dono ed esprime il desiderio di corrispondere il giusto riconoscimento, tuttavia comunica con rammarico che sarà impossibile per questioni di tempo rappresentare la tragedia il giorno dell’apertura del teatro.
Il manoscritto rimase fra gli atti del carteggio amministrativo fino a che, nel luglio del 1914 non ne fu estratto per essere acquisito fra i manoscritti della biblioteca Classense, così come si legge nella nota manoscritta nella pagina di guardia, firmata di Silvio Bernicoli.
Il manoscritto entra a far parte del patrimonio della Classense solo nel 1952, come da timbro stampigliato sulla sommità della medesima carta di guardia, e prende – curiosamente – un numero di inventario. Successivamente trova collocazione fra i manoscritti ravennati con la collocazione Mobile 3 8 H².
Per quello che ne sappiamo è tuttora inedito.

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Biografia Francesco Capozzi

Francesco Capozzi nacque a Lugo il 4 ottobre 1812 da Lorenzo e Lucrezia Gaiani. Fu incline fin da giovane alla poesia, durante l’adolescenza studiò i classici e coltivò l’arte musicale.
Fu un uomo dalle maniere semplici e i gesti gentili, considerato leale dagli amici, dalla felice fantasia e con una sottile ma bonaria arguzia, che lo rese un discreto scrittore di epigrammi.
Nel 1843 sposò Carolina Borghesi, avvenimento per cui furono scritti numerosi componimenti di congratulazioni. La moglie di Capozzi morì solo tre anni dopo il matrimonio, lasciando il poeta con due figlie, di cui la minore morì nel 1850. Il dolore lo spinse a lasciare Lugo, seppur lì aveva ricoperto le prime cariche civili, e a trasferirsi a Firenze con la figlia maggiore, così da curarne l’educazione.

Francesco Capozzi iniziò l’attività letteraria con un componimento di genere epico in terza rima di cui si hanno diverse edizioni, Inno a Dio, cui seguirono: All’integerrimo magistrato… Vincenzo Colla, ferrarese (Bologna 1833); Inno alla vergine (Lugo 1836); Rimembranze storiche d’amore (Lugo 1837); la raccolta Nuovi canti erotici (Lugo 1838) di trentasei anacreontiche; il poema composto da cinque canti in ottava rima, La pietosa istoria di Francesca da Rimini (Orvieto 1840); Gli amori dei patriarchi (Lugo 1840). Vi sono poi molte pubblicazioni di cui non si conoscono con certezza la data e il luogo, come: il dramma lirico Gustavo Vasa; Idillivari; Inno a S. Alfonso de’ Liguori; Epistole; Il pellegrino in terra santa; una raccolta di componimenti sulla perdita degli affetti più cari, di cui furono pubblicati solo i primi due canti, Un fiore su i sepolcri.
Di minore importanza furono: Sulle antiche milizie romane (Lugo 1848); Sul castello di Mordano (Roma 1849); All’amor cristiano (Firenze 1858); e vari sonetti pubblicati su opuscoli e giornali.
Altro genere Capozzi cui era affezionato, e che esercitò con maestria, erano le iscrizioni, di cui pubblicò un volume, Iscrizioni italiane.

I suoi Epigrammi furono invece pubblicati a Lugo nel 1853, divisi in sette libri, presso la tipografia Melandri. I primi sei libri comprendono cento epigrammi ciascuno, mentre l’ultimo venticinque. Fu un prolifico ma non memorabile epigrammista, seppur mai puerile o insipido (Da Giunta 1857), alcuni epigrammi mancano di autentico vigore, mentre altri sono di difficile comprensione o dal contenuto eccessivamente sentenzioso o madrigalesco. Capozzi ha comunque affrontato il genere con speditezza e brevità, non superando mai gli otto versi e più spesso con composizioni da sei o sette versi. La lingua è accurata ma non ricercata, il metro della poesia è vario.

La produzione di Francesco Capozzi venne raccolta per intero in Opere poetiche (Bologna 1868), divisa in tre tomi.
Altre sue composizioni sono rintracciabili in Prose e poesie (Bologna 1836, fasc. 10 pp. 309 s., fasc. 14 pp. 295-297); in Giornale Arcadico LXXVI (1838 pp 190-198 e pp. 377-79), LXXX (1839 pp. 64-68); Giornale letterario scientifico italiano I (1839, 32, pp. 187 s.).

Fonti e Bibliografia: M. Da Giunta, Antologia epigrammatica italiana, Firenze 1857, pp. 104-107, pp. 405-435; A. Golfieri, Della vita e degli scritti di Francesco Capozzi, Imola 1886; L. De Mauri, L’epigramma italiano dal risorgimento delle lettere ai tempi moderni, Milano 1918, pp. 372-381; G. Mambelli, Francesco Capozzi, in Corriere lughese, 29 apr. 1928; G. Mazzoni, Ottocento, Milano 1934, p. 747, 796, 837.

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