Archivio storico comunale Ravenna, Fondo di carte topografiche, Mappa 68, 1844, particolare

Le immagini numerate da 01 a 19 ricostruiscono il fascicolo del Carteggio amministrativo, Titolo XXVII, Rubrica 10 del 1806 dedicato ai “rifacimenti ai diversi monumenti della città”. Il gonfaloniere di Ravenna, Carlo Arrigoni, reputava che fosse arrivato il momento di restaurare alcuni edifici storici ravennati e quindi di scrivere alla “deputazione apposita” e cioè una sorta di commissione comunale deputata a questo tipo di lavori pubblici, e contemporaneamente al Sub Economato dei Beni nazionali per il Dipartimento del Rubicone.
Il 3 maggio del 1805 arrivava a Ravenna la risposta dal titolare del Sub Economato nella quale si diceva che essendo quella necessaria ai lavori non una spesa di poco conto sarebbe necessario consultare il Ministro competente.
Il 13 maggio del 1805 Carlo Arrigoni inviava una perizia dell’ingegnere Lodovico Nabruzzi “sopra li rifacimenti, che indispensabilmente occorrano ai diversi antichi monumenti della Città”.
La perizia ha data Ravenna 26 aprile 1806.
L’anno seguente, il 29 marzo 1806 fu l’ingegnere Luigi Monghini ad compilare un’altra perizia che Carlo Arrigoni, Luigi Camerani, Francesco Miserocchi e G. Soragni inviarono al ministro per il Culto del Regno d’Italia.

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Si riproduce in parte il fascicolo del Carteggio amministrativo Titolo XXVII, Rubrica 10, 1811 nel quale – il 5 luglio 1811 – per ordine del Vice Prefetto del Dipartimento del Rubicone, Distretto IV di Ravenna, si chiedeva di saldare immediatamente l’Ingegnere capo “per la collaudazione delle riparazioni al mausoleo di Teodorico”.
Già il 6 giugno 1811 il Vice Prefetto aveva sollecitato il pagamento, ma il Podestà Carlo Arrigoni era stato costretto a rispondere che “per mancanza di fondi non potrà emettersi” il mandato di pagamento “fino all’approvazione del consuntivo [bilancio] del 1810”.

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Dal carteggio ammnistrativo Titolo I, Protocollo generale n. 595, 1823.
Il 20 marzo 1823 l’ingegnere comunale Lodovico Nabruzzi scriveva al Gonfaloniere o Podestà di Ravenna – allegando una pianta – circa la questione delle acque che circondavano il mausoleo di Teoderico: “onde possa riconoscere la differenza che passa fra le acque sotto la Rotonda e quelle del Canale Naviglio”
Nabruzzi continuava sottolineando che “Da ciò rileverà che il pelo delle acque della Rotonda restano superiori al pelo di quelle del Naviglio […] e sopra la soglia del ponticello dello scolo della città nel suddetto canale […] Rileverà ancora che il piano attuale della Rotonda l’ho rinvenuto più basso della suddetta soglia […] per cui le acque della Rotonda non si potrebbero scaricare se non in parte.”

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Lodovico Nabruzzi
1 carta acquerellata, mm 290 x 453, scala di metri 500 serve per la pianta e distanze del profilo; scala di metri 2 serve per le altezze del profilo
“Pianta e profilo di Livellazione dal Monumento di Teodorico denominato la Rotonda fino al ponte sopra lo Scolo della città nel Canale Naviglio, da cui si rileva la caduta che potrebbero avere le acque della Rotonda rinvenute il giorno 14 marzo 1825 alle ore 4 pomeridiane sopra la platea del sud. Ponte”

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Carteggio amministrativo, Titolo XXVII, 1839 Protocollo generale n. 390, 578, 673
“Posizione relativa ai ristauri occorenti al Sepolcro di Teoderico ossia della Rotonda”

Silvio Bernicoli nei suoi regesti ci indica questa posizione dell’Archivio storico per un restauro del pavimento di Santa Maria alla Rotonda, ovvero il mausoleo, con “sasso d’Istria”. Ed effettivamente a questi lavori è dedicato il documento firmato da Lodovico Nabruzzi il 22 ottobre 1839 che concorda con la pubblica opinione circa il fatto che il recente rifacimento con mattoni sia “non solo indecente, ma ancora non in corrispondenza col restante suddetto monumento”.

In realtà il fascicolo documenta come l’ingegnere Lodovico Nabruzzi si sia occupato di elencare e dettagliare un certo numero di lavori che dovevano essere fatti.
Nella prima lettera, del 1 settembre 1837, acclude una “perizia dell’importo di un nuovo rastello occorrente all’Arco situato nell’ingresso del Piazzale d’inanzi al mausoleo del Re Teodorico, volgarmente detto la Rotonda”. Il cancello poteva essere fatto o di legno di quercia o di ferro.
Fra i documenti di grafica conservati nella biblioteca Classense si trovano alcuni disegni che sembrano venire da questo fascicolo. Come spesso è accaduto nel corso degli anni i documenti ritenuti più preziosi furono tolti dalle originali posizioni d’archivio. L’operazione consentiva una migliore conservazione, ma privava i disegni della chiave di lettura necessaria per contestualizzarli nella storia del monumento.

Lo stesso Nabruzzi, il 15 maggio del 1838, scriveva all’Illustrissimo Signor Conte Gonfaloniere di Ravenna un nuovo elenco dettagliato di spese dei “ristauri indispensabili che occorrono per la manutenzione del Mausoleo di Teodorico, denominato La Rotonda, da me rilevati in forza di verbale d’Ordinanza della S.V. Illustrissima”.
Secondo l’Ingegnere:
1. “diversi gradini in marmo delle due scalinate laterali trovansi sommossi e pericolosi e perciò è di necessità urgente di rifermarli e rimetterli a posto con arpioni di ferro […]”
2. “un pezzo di cornice che serve d’imposta agli archi inferiori trovasi del tutto mancante e conviene rimetterlo a nuovo […]”
3. “il Selciato della chiesina superiore trovasi nella massima parte diruppato con pezzi di marmo e di cotto in parte frantumati e in parte affatto mancanti […]”
4. “la Serraglia di legno della Porta d’ingresso trovasi trovasi sul di sotto tutta marcita e perciò è della massima urgenza vengi rimessa di nuovo sul di sotto con uno scaglione […]”
5 “le Fenestrelle che danno lume all’ingresso di questo Monumento trovasi prive d’invetriate […]”

Lodovico Nabruzzi torna a scrivere al Gonfaloniere il 27 febbraio del 1839 accludendo un Piano di esecuzione relativo al nuovo cancello di ferro e “ristauri che indispensabilmente” ha giudicato urgenti “perché possa prendere quelle determinazioni che nella di Lei saggezza giudicherà opportune”.
Il 18 marzo 1839 Il Comune di Ravenna scrive al Cardinale Legato circa i lavori e il “servitor vero”, cardinale Luigi Amat, risponde in data 25 marzo approvando la perizia che rispedisce – firmata – al Comune, autorizzandolo a “procedere agli Atti d’Asta, anche a tavolino o con la restrizione dei termini come credano più opportuno”.
Il 9 aprile il cardinale Amat “trovando regolari gli Atti d’Asta relativi alle urgenti riparazioni delle quali abbisogna il sepolcro di Teodorico” e sentita la Congregazione Governativa approva gli atti e li restituisce al Comune.
Il 10 giugno sempre Amat approva anche la spesa per i lavori da eseguire “all’ingresso del Piazzale d’innanzi al monumento di Teodorico”.

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Carteggio amministrativo, Titolo II, Rubrica 4 del 1844, protocollo generale n. 2206, 2283, 2389.

Si tratta di un breve carteggio fra il cardinal legato Francesco Saverio dei principi Massimo, l’ingegnere comunale aggiunto Romualdo Massi e il consigliere anziano Pietro Grossi, in vece del gonfaloniere commendatore Gabriele Rasponi.
Il fascicolo è relativo al progetto del capitano Saverio Canevali “marito della Signora Sepolina di Milano” di eseguire un “taglio provvisorio della strada comunale detta della Rotonda per la costruzione di un chiavicotto”.
Il progetto aveva lo scopo “di smaltire le acque stagnanti nel piano inferiore di quel Monumento nella Vasca vicina al Candiano mediante il fosso costeggiante la strada opportunamente escavandolo.”
L’ingegnere Massi, in data 18 novembre 1844, fa però notare al Gonfaloniere che “così operando ne deriva gravissimo danno a quella strada, stante che con le piogge o col gelo dell’entrate stagione invernale specialmente nel disgelo, sicuramente accadranno tali dilamazioni che faranno rovinare il fondo dello scolo almeno l’adiacente banchina trascinando forse con se anche porzione della strada suddetta.”
Il Massi chiedeva quindi di interpellare il Capitano Canevali per domandare in quale modo intendeva impedire le dilamazioni e quindi il danneggiamento della proprietà comunale.

Nonostante le perplessità dell’ingegnere Massi, il Capitano Canevali viene proposto per alcuni riconoscimenti.

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Biblioteca Classense, Mob 3 4 H² 3 fascicolo 12

Si tratta di una lettera attribuita ad Antonio Martinetti, che si firmava Luca Gava, circa un’iscrizione da porsi alla Rotonda per i lavori che il Viceré Eugenio Beauharnais aveva concesso per il restauro della Rotonda.
Nella lettera, datata Ravenna 9 settembre 1812, lo scrivente pur lodando le qualità di Giuseppe Severi, il suo “Amor Patrio” e la sua “condotta filantropica” giudicava che dovesse essere elogiato per cento altri titoli “ma non già pel ristauro del Mausoleo della Rotonda”.
Giuseppe Severi si occupò dei lavori di restauro al mausoleo, ma non ribassò il prezzo dell’opera convenuto né aveva procurato che venisse compiuto prima del tempo fissato.
Per questo motivo l’autore conclude: “Adesso ben intendo per qual motivo le Iscrizioni lapidarie si fanno più facilmente ai morti che ai vivi poiché chi sa quanti trapassati alzerebbero dal loro avello il capo se potessero scorgere la molteplicità delle bugie che sono scolpite in quel marmo che li ricopre! Convengo col dotto letterato che dicea che la scienza lapidaria è quella della menzogna che trasmette sovente ai Posteri virtù ed opere di Soggetti delle quali mai non ne furono forniti.”

59 tris Mob 3 4 H2 Fasc 12 n. 3 rosso
59 tris Mob 3 4 H2 Fasc 12 n. 3 rosso
59 quater Mob 3 4 H2 Fasc 12 n. 3 rosso
59 quater Mob 3 4 H2 Fasc 12 n. 3 rosso

Verbali del Consiglio comunale di Ravenna, 1861, pagina 114

Venerdì 22 novembre 1861, ore 11, presenti il sindaco marchese Vincenzo Cavalli, gli assessori Emilio Ghezzo, Giulio Guerrini, Giuseppe Malagola, conte Lucio Rasponi, marchese Giovan Battista Spreti e venti consiglieri viene discussa l’opportunità di dotare la Rotonda di un custode.
L’argomento veniva posto all’attenzione del Consiglio dal Marchese Ignazio Guiccioli che insisteva perché la Giunta fosse convinta che “la chiave di quel monumento sia affidata a persona che meglio rispondesse alla municipale rappresentanza e alla sontuosità del luogo.” Il consigliere Ruggero Fabri aggiungeva che si doveva domandare al Governo perché il luogo era governativo e rincarava la dose dicendo che le gradinate labenti dovevano essere restaurate.

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Carteggio amministrativo 1801, marzo 8

Il 14 Ventoso del IX Anno Repubblicano, ovvero fra il 5 marzo 1801, Giacomo Fruzzi, Fattore Nazionale sopra la Tenuta detta de’ Finili, ovvero Santa Maria alla Rotonda, cioè il Mausoleo di Teoderico, scriveva ai sorveglianti Pizzigati e Montanari per denunciare la scomparsa di molti coppi dalla sommità del muro che circondava l’orto annesso alla Rotonda. Interrogati Vincenzo Zancana e l’ortolano della Rotonda scopriva che il cittadino Antonio Felletti e suo padre avevano asportato i coppi. Felletti e il padre potevano essere o meno anche gli autori del furto della ringhiera asportata dal Mausoleo.
Scrivendo Pizzigati e Montanari alla Divisione di Polizia della Comune di Ravenna dichiarano: “La scoperta verte sopra piccola entità di Genere che per altro potrebbe dare lumi sopra la devastazione della Rotonda. Vi invito dunque o Cittadini di procurare li mezzi efficaci per venire in cognizione de’ delinquenti che devastarono la ringhiera di ferro e che portarono via alcuni ferri, con cui sono legati li Sassi, alfine di salvare sì antico Mausoleo decoroso alla nostra Comune dalla ingordigia e vorace rapidità degl’occulti rei”
L’8 marzo 1801, sempre nella comunicazione mandata dalla Sorveglianza de’ Beni nazionali nella Comune di Ravenna, a firma Pizzigati e Montanari, leggiamo che Gasparo Felletti e il figlio Antonio sono stati arrestati: “Vi invito o Cittadini di ammonirli acremente affinché s’astengano di eseguire tali reati e l’arresto di già sofferto mi dà credere, che li servi da regola”.

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Carteggio amministrativo,1803, settembre 4

Il fascicolo conserva alcuni documenti che riguardano la questione del restauro al Mausoleo di Teoderico che già di poneva da tempo.

Il 6 novembre 1802 il Viceprefetto del Dipartimento del Rubicone Distretto di Ravenna scriveva alla Municipalità perché Ruggero Gamba “avete a cuore il lustro della sua Patria” aveva fatto formale istanza per un intervento della Prefettura per prevenire la perdita dell’edificio della Rotonda “uno dei più celebri Monumenti di Ravenna”.
L’8 novembre la Municipalità incaricava Giosafat Muti “di recarsi alla detta Rotonda e farci una relazione della spesa che potrà occorrere”.
Il 17 novembre del 1802, Giosafat Muti, architetto e perito del Comune, scriveva una relazione indirizzata alla Municipalità di Ravenna sulla situazione del monumento: “Se mai vi fu cosa che interpretare potesse il Genio Patrio con una sensata circospezione di provvedere all’esigenza delle opere che rendono celebri le Città, al certo fu quella di volgere l’occhio, che voi faceste, o Cittadini, al più illustre, al più antico, al più raro ed unico Monumento, alla Rotonda di Ravenna. Più volte l’ingiuria dei tempi fece onta alla di lei robustezza e singolare costruzione, ed altrettante volte fu represa da chi conobbe il merito di questa grand’opera e che tutt’ora si tenta da quelli che danno saggio di conoscerlo e conservarlo”.
All’ingegnere era stato chiesto infatti di fare un sopralluogo e di indicare quali fossero i lavori più urgenti e Muti riferiva che nella parte inferiore del monumento i danni maggiori si avevano negli archi di sinistra: “una causa motrice di questa rovina, io la deduco dalla penetrazione dell’acqua che fermasi nell’ambulacro di contorno al circolare di questa e insinuandosi nelle commissure de’ sassi ne ha causato lo scioglimento”.
Muti indicava i lavori da farsi e continuava nella descrizione: “Non consiste il minaccio di questo antichissimo tempio ne’ soli due accennati archi, ma nel generale di tutta la fabbrica sonovi altre scompaginazioni, mancando dove ne’ sassi angolari, dove degli intermedi e dove de’ pezzi di cornici quali oltre al servire di ornato fanno eziandio da imposte agl’Archi. Tutti questi pezzi ben adattati e rimessi con calce in mezzo, andranno fermati con arpici di ferro, potendosi in tal guisa ottenere un sicuro e durevole ristauro […]. Mi corre altresì di prevenirvi che nei contorni delle scale collaterali sono stati derubati dei ferri che servivano d’appoggio per salire e discendere e contribuivano altresì ad una legatura onde non rovinassero li gradini di marmo il che potrà seguire se non gli vengono apposti gl’occorenti ripari. […] Non avrei del tutto soddisfatto alla commissione quante volte non vi mettessi sott’occhio, che quanto sarà maggiore il ritardo alle suddette riparazioni altrettanto si aumenterà la spesa perché rallentandosi di vantaggio gl’Archi e gravitando su questi il Maschio della fabbrica sarà causa di nuove lacerazioni ed in seguito di maggiori pericoli e di più disastroso riparo. La vostra attività per altro è tale che non mancherà di cooperare alla conservazione di un sì celebre Monumento, che oltre a rendere illustre la nostra Patria serve ancora di fregio a tutta la Repubblica, sì perché in esso si scorge il bello ed il sodo di una antica e be studiata Architettura, rendendolo più mirabile e vago il sasso di un solo pezzo che gli serve per Cuppola esaltato in tutte le storie e che può gareggiare coi più superbi e antichi Monumenti Romani.”
Trascorso quasi un anno la Viceprefettura – non avendo ricevuto risposta – scriveva nuovamente: “E’ del decoro di questa città e del dovere de’ suoi magistrati l’interessarsi alla conservazione” dell’antico e famoso edificio della Rotonda. La risposta arriva il 12 settembre: a seguito della perizia scritta da Muti l’anno prima la Municipalità dichiarava di non avere i fondi necessari ai restauri e chiedeva al Governo di metterli a disposizione.

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Carteggio amministrativo, 1811, Titolo XV, Rubrica 1, Protocollo generale 179.

Il 21 gennaio 1811 l’Arcivescovo di Ravenna, Grande Elemosiniere di S. M. I. e R., dignitario dell’Ordine della Corona di Ferro, membro del Senato, Conte del Regno, scriveva al Podestà Gamba Ghiselli per informarlo che il 9 gennaio era giunto a Milano il modello in argento della Rotonda. L’arcivescovo Antonio Codronchi lo avrebbe presentato l’indomani alla Maestà Imperiale e Reale Eugenio Beauharnais sicuro che sarebbe piaciuto poiché trattavasi di “squisito lavoro”.
Due giorni dopo, il 23 gennaio 1811, l’arcivescovo Codronchi assicurava il podestà Paolo Gamba Ghiselli di come il Viceré avesse accolto il dono e “con quante lodi magnificasse l’esattezza dello squisito lavoro”. Beauharnais assicurava che “avrebbe sempre avuto a cuore il bene, il decoro di una città che egli amava e pregiava molto non tanto pe’ suoi celebri antichi edifici quanto per la fedeltà e luminoso attaccamento mostrato sempre al Sovrano Augusto di Lui Genitore”.
Gamba Ghiselli ringraziava poi Codronchi della bontà che aveva avuto nei suoi riguardi in quella occasione: “Vado a momenti a cessar d’esser podestà, ma non cesserò mai d’essere quale con profonda stima e rispetto ho l’onore di significarmi”.

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Biblioteca Classense, Mob 3 cassetto sinistro D

Antonio Farini, Pianta e spaccato delle scale per salire al secondo piano della Rotonda, 1 luglio 1773

Nel Dizionario storico di Ravenna e altri luoghi di Romagna compilato da Primo Uccellini sulla figura e l’opera di Antonio Farini (1710 – 1794) si legge: “rimase nubile e sostenne lodevolmente per lungo tempo la carica d’ingegnere della provincia di Romagna; egli diresse le nuove saline e fabbriche di Cervia, i lavori del Molino del Mezzano e le scale esterne della Rotonda; inoltre fu l’architetto della chiesa de’ Serviti di Russi, compilò il censimento di questo Comune ed eseguì molti altri lavori utili alla patria”.
Nel 1983 Bruno Bandini e Nullo Pirazzoli diedero alle stampe una monografia sulla figura e l’opera di Antonio Farini nella quale si occuparono di questo tecnico “tuttofare” scrivendone il regesto delle opere e aggiungendo anche il profilo dei colleghi periti, idrologi, matematici e ingegneri con cui collaborò come Pietro Azzoni, Ambrogio Baruffaldi, Pietro Maria Cavina, Luca Danesi, Giuseppe Guarini, Giacono Tassinari, Camillo Morigia, Gianantonio Zane e altri.
Nella monografia Bruno Bandini assegna ad un paragrafo un titolo assai significativo: La città o la campagna? Antonio Farini e la difesa del territorio dalle acque. Allora come oggi ci si domandava cosa dovesse essere salvato nella relazione fra città e campagna e chi delle due dovesse essere di conseguenza sacrificata: “La sistemazione idraulica del ravennate pare irrimediabilmente passare per la soluzione di questo irritante dilemma. Ed è una domanda affatto nuova. Già dopo le gravissime inondazioni del seicento ci si cominciava a chiedere se fosse preferibile demolire i molini o tagliare i fiumi.”

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Carteggio amministrativo, 1808, Titolo XV, Rubrica 1, Visità del Vicere, 2 agosto 1808

Si tratta di un corposo fascicolo di più di 90 carte che testimoniano tutta l’organizzazione fatta per la visita di Eugenio Beauharnais a Ravenna, il 2 e 3 agosto 1808.
La città si preparò al suo meglio per ricevere il Viceré. Il 21 luglio il Podestà, Paolo Gamba Ghiselli, convocava una seduta del Consiglio comunale per prendere alcune determinazioni in relazione alla visita.
Fu fatto stampare un avviso nel quale si chiedeva ai notabili ravennati di attendere l’arrivo del Viceré fuori Porta Nuova con le carrozze e “al suono della campana della pubblica torre di far accedere al luogo suddetto la Carrozza, o Carrozze, Legno, o Legni con entro persone decentemente vestite, tendosi tutti dalla parte del vecchio Canale del Molino, con qualche distanza da un Legno all’altro, e seguendo poi le Carrozze del Principe sino al Piazzale dell’Arcivescovado.”
Segue un elenco manoscritto delle cinquantasette famiglie che sarebbero andate ad accogliere l’illustre personaggio tra cui i Monaldini, i Rasponi, i Lovatelli, e anche Camillo Spreti. In seguito si decise di “sospendere questa risoluzione” forse temendo che il luogo del raduno non fosse sufficientemente capiente.
Il 27 luglio il viceprefetto Bagolini chiedeva al Podestà di illuminare “a torce di cera questo pubblico Palazzo”
Il 1 agosto si diede ordine di far suonare tutte le campane all’arrivo del Beauharnais.
Fra i documenti si trovano anche l’elenco delle signore invitate alla festa da ballo che si tenne la sera del 2 agosto e le indicazioni delle consegne per chi si sarebbe trovato a sorvegliare la porta d’ingresso alla serata danzante: “I due che stanno alla porta d’ingresso del Teatro avranno l’incarico di ammettere soltanto quelli che sono muniti del biglietto d’invito. E nel caso qualcuno si presentasse col biglietto non decentemente vestito sono in facoltà di ordinane la ripulsa”.
Come si era considerati decentemente vestiti? Gli uomini dovevano indossare “calze di seta, fibbie alle scarpe e cappello montato sotto il braccio, oppure senza cappello, non ammettendosi quelli che abbiano il cappello tondo”. Anche per le signore si richiedeva che fossero decentemente vestite.
I preparativi furono così laboriosi che i funzionari del Comune di Ravenna confezionarono un volume contenente una rubrica con tutte le voci necessarie: da quella Alloggi a Polizia delle strade, da Divertimenti a Rarità del Paese.
In questa ultima voce furono indicati i monumenti che sarebbero stati visitati: San Vitale, il mausoleo di Galla Placidia e la Rotonda.

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Biblioteca Classense, Lettere, Busta 34, fascicolo 21, Giosafat Muti al Podestà di Ravenna.

Il 5 dicembre 1809 l’ingegnere comunale Giosafat Muti scriveva al Podestà Pietro Gamba per il compito che gli era stato assegnato di liberare il mausoleo che “ingombrano la parte migliore di questo monumento”.
Fra le operazioni da fare “quella che fra le altre è la più essenziale è una giusta livellazione per conoscere li rapporti delle acque del mare con quelle che sono interne alla mole e per fare li necessari e più sicuri scandagli renderebbesi opportuno il livello a bolla d’aria quale si è quello che trovasi nel Museo di Classe di comunale pertinenza. Questo però trovasi imperfetto in alcune parti e quivi vi sarebbe il meccanico Zamboni capacissimo per accomodarlo.” Muti quindi chiede al Podestà di poter domandare al “custode” del Museo don Olivo Orioli di avere questo strumento per poterlo fare aggiustare e renderlo adatto alla misurazione e di poter infine liberare il mausoleo dalle acque che offuscano il pregio della parte inferiore dell’“opera insigne in cui si ammira l’arte di più tempi”.

Questa lettera, correttamente protocollata fra i documenti del carteggio amministrativo del Comune di Ravenna con il numero 1754 del 1809, fu consegnata per ordine del Podestà al bibliotecario Orioli che presiedeva sia la biblioteca sia il Museo di Classe, con l’ordine di consegnare la macchina all’ingegnere che aveva l’obbligo di restituirla una volta usata.
Proprio per questo motivo non è più conservata nel carteggio amministrativo, ma nel fondo della Classense che le lettere indirizzate prima agli abati bibliotecari del monastero di Classe e poi ai direttori della Biblioteca Classense.
In particolare don Olivo Orioli fu incaricato dall’Amministrazione centrale di Forlì di reggere la Classense dal 25 gennaio del 1799, ovvero dopo le soppressioni delle corporazioni religiose, nominato poi dalla Municipalità il 3 gennaio 1803 e riconfermato nel novembre dello stesso anno riuscendo a prevalere sulle candidature di Tommaso Saporetti, ex abate agostiniano, e Francesco Nanni, assunto come semplice amanuense.
Saporetti si prese la rivincita divenendo direttore alla morte di Orioli, avvenuta nel gennaio del 1810, e reggendo la biblioteca fino al 1826, quando rinunciò all’incarico per prevenire la destituzione.
Francesco Nanni invece fu vicebibliotecario dal marzo del 1815 e bibliotecario dal giugno del 1827 fino alla morte avvenuta nel maggio del 1831.

77 Lettera busta 34 fasc 21 Muti al Podestà 1809
77 Lettera busta 34 fasc 21 Muti al Podestà 1809
78 Lettera busta 34 fasc 21 Muti al Podestà 1809
78 Lettera busta 34 fasc 21 Muti al Podestà 1809
79 Lettera busta 34 fasc 21 Muti al Podestà 1809
79 Lettera busta 34 fasc 21 Muti al Podestà 1809

Carteggio amministrativo, 1818, Titolo XXVII, protocollo generale 1592

Il 3 novembre 1818 l’ingegnere comunale Lodovico Nabruzzi scriveva al gonfaloniere Carlo Arrigoni allegando la perizia per “l’accomodamento della fenditura che ritrovasi nella cupola della tanto rinomata nostra Rotonda onde voglia pigliare in una qualche considerazione il ristauro di un’opera così insigne”.
Nella sua perizia Nabruzzi dichiarava che la fenditura della cupola era lunga 633 centimetri e larga 7 centimetri. La sua ipotesi per la riparazione era di “riempirla con piombo ben battuto e pigiato” lasciandolo “sporgere un poco sul di fuori” per andare a coprire i “ i lembi di detta fenditura”.
Nabruzzi proseguiva: “Accomodata in tal modo questa fenditura, sono di sentimento che le acque non avendo più modo d’intervarvisi dentro, l’interno della chiesa cesserà di essere umido e termineranno i pericoli”

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Umberto Gozzano, cugino del più noto Guido Gozzano, era un autore di testi e un critico teatrale.
Fra le opere di Gozzano conservate alla Biblioteca Classense si trova una singolare decrizione delle meraviglie di Ravenna: Fantasmi e porpore imperiali su Ravenna bizantina.
Nelle pagine, estratte dalla rivista «Turismo in Italia» del settembre del 1929, Gozzano, dopo aver raccontato la leggenda riguardante Teodorico e la costruzione del mausoleo ad lui dedicato, descriveva in maniera poetica sia quella tomba sia quella altrettanto celebre di Galla Placidia.
“Galoppa Teodorico re per la folta, spessa e viva foresta sul suo cavallo nero. Brontolano cupi i tuoni per la tempesta imminente ed i grandi alberi tutto intorno sembrano maledire irosi od implorare atterriti”. Questo l’incipit dell’articolo che aveva come obiettivo di pubblicizzare la nostra città e le sue bellezze naturali e culturali.

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